FAMIGLIA
“Siamo troppo vicini,
ma non vicini abbastanza”
In occasione del matrimonio dell’ultima e unica figlia femmina di una numerosa famiglia tutta al maschile, si riuniscono nuovamente tre generazioni di persone legate da antichi dolori e irrisolte incomprensioni. La cerimonia diventa pretesto per rimettere sullo stesso tavolo i padri dei padri e i figli dei figli, e consumare una vicenda d’amore e d’odio, sospesa tra passato e presente, sogno e realtà. Lo svolgimento della trama anima il vero significato di una pièce che prova a scandagliare l'anima di uomini che nei lunghi anni di reclusione hanno sofferto per gli affetti lontani, per i figli distanti, per gli amori perduti, e si trovano ora a tentare una ricostruzione emotiva di un rapporto difficile fatto di rivendicazioni e ribellioni.
con Alessandro Bernardini, Luca Carrieri, Matteo Cateni, Chiara Cavalieri,
Viola Centi, Massimiliano De Rossi, Massimo Di Stefano, Gabriella Indolfi, Giulio Maroncelli, Piero Piccinin,
Giancarlo Porcacchia, Fabio Rizzuto, Cristina Vagnoli
costumi Mari Caselli
scenografia Andrea Grossi
luci Alessio Pascale
musiche Luca Novelli
fonico Simone Colaiacomo
foto di scena Jo Fenz e Ilaria Giorgi
organizzazione Giorgia Pellegrini
segreteria Ilaria Marconi
Ufficio Stampa Carla Fabi e Roberta Savona
Una produzione Fort Apache Cinema Teatro
Con il sostegno di Ministero della cultura, Regione Lazio - Officine di Teatro Sociale, Fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese
In collaborazione con Sapienza Università di Roma, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale del Lazio, UIEPE – Ufficio Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Roma, Atcl - Spazio Rossellini Polo Culturale Multidisciplinare della Regione Lazio, Artisti 7607, CAE Città dell’Altra Economia di Roma
Note di regia
Questo spettacolo è dedicato a chi non c’è. Ai figli lontani e ai padri che sono morti mentre i figli erano lontano. Sulla scena ci sono tutti, le persone, i personaggi, i fantasmi. Non importa se non c’è più il muro di un carcere a separarli. Ancora una volta questi attori usano il teatro per quello che serve, per colmare una distanza, per aggredire il senso di colpa, per sostenere il peso del giudizio. Per parlare a chi forse è in platea o forse non c’è più. Ed è in questo sforzo e in questa necessità che ci raccontano della famiglia, della ferocia degli affetti, dell’amore e della violenza, della solitudine. Del tempo che passa. In un semplice, tragico, commovente passaggio dalla realtà alla finzione.